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che quando, il 19 e il 20 di aprile di quello stesso anno 1848, i rappresentanti del Re di Napoli e quelli dell’insorta Sicilia eran convenuti in Roma per iniziare la Dieta italiana che doveva stabilire le condizioni della lega, i rappresentanti della Toscana non vi erano giunti e quelli del Piemonte non erano nè anco stati designati.

Degli andirivieni e delle tergiversazioni dei vari principi italiani in quella occasiono tutti gli storici e scrittori di quegli avvenimenti si sono occupati, ma conservando nei loro giudizi ed apprezzamenti quella stessa discordia che era nel campo dei vari governi della penisola a quei di; i quali dicevano tutti di volersi collegare e poi, a cagione degli interessi speciali, delle emulazioni, e delle invidie di ognuno di essi, non si collegavano punto. Gli scrittori, quindi, sono divisi in tanti gruppi: ciascuno dei quali cerca di attenuare le colpe e gli errori di un dato principe o di uno degli stati che doveano confederarsi, per gettare la responsabilità sopra l’altro: onde è difficile, a chi non li legga tutti, il formarsi un concetto esatto della verità storica su quel fatto, gravissimo per le conseguenze che ebbe sia in riguardo alla guerra, sia, in appresso, coll’avere ingenerato la sfiducia nelle popolazioni e coll’aver, quindi, fatto nascere in queste il desiderio di una alleanza di popoli là dove, per colpa dei principi e dei governi loro, non si era potuto conseguire un’alleanza di principi1.


    moniache piemontesi appare chiaro da ciò che ne dice il Gioberti (Rinnovamento, nei capitoli I e XIIl del vol. I), e da una lettera del Balbo stesso indirizzata al conte di Castagneto, in data 21 maggio 1848, riprodotta da E. Ricotti, Della vita e degli scritti del Conte Cesare Balbo, Firenze, Le Monnier, 1856, lib. V, cap. I, pag. 217.

  1. A proposito delle opinioni che correvano, allora, intorno agli atteggiamenti dei principi italiani è importante - anche se il narratore non fosse stato esattissimo nel riferire i particolari del colloquio - ciò che racconta il La Cecilia sul suo incontro con Pellegrino Rossi a Roma nel febbraio del 1848. «Vidi l’infelice Rossi, allora ambasciatore di Francia presso il Pontefice» cosí scrive il La Cecilia». - Antico collaboratore della Giovine Italia mise da parte la diplomazia, e mi esortò ad usare ogni mezzo per disingannare i miei concittadini da ogni speranza di aiuto dalla Francia in una guerra contro l’Austria, ricordandomi la sentenza di Guizot, pronunziata in pieno Parlamento: Nous voulons la paix par tout, et toujours. “Non provocate l’Austria prima d’essere organizzati e forti; so bastassero le grida di piazza e gl’inni patriottici a vincere le battaglie, gl’italiani ne avrebbero vinte moltissime, e sarebbero già padroni di Vienna. Ad un tratto mi domandò: “Credete voi di buona fede il vostro Borbone nella sua messa in scena co-