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de’ principi e del Pontefice, e come il disegno della lega italiana fosse divenuto niente altro che uno strumento di ambizioni e avidità personali; imperocchè l’uno avversava la lega, perchè non gli rapisse il frutto della vittoria; gli altri la lega richiedevano per compartire fra loro i vantaggi di una guerra, alla quale punto o poco partecipavano»1.

Però sotto il ministero Mamiani, al cominciare delle sconfitte militari in Lombardia, le trattative erano state riprese con un po’ più di buona disposizione da parte del Piemonte; e il ministero presieduto da Gabrio Casati, sul consiglio del Gioberti, aveva nominato il 31 luglio l’abate Antonio Rosmini Serbati incaricato del Piemonte per trattare della lega col Pontefice Pio IX a Roma, dove esso giunse il 15 agosto, ebbe due lunghi colloquii col Papa, che gli annunciò la sua decisione di nominarlo Cardinale e che delegò come suo rappresentante officioso a trattare della lega quell’ottimo monsignor Giovanni Corboli Bussi, delle cui meritate lodi son pieni tutti gli scritti di quel tempo.

È importantissimo però rilevare che il Rosmini, mosso in parte dal profondo suo zelo religioso, in parte convinto che a invogliare Pio IX a entrare in quella lega come principe, bisognava concedere qualche cosa al Pontefice, aveva indotto il ministero Casati ad affidare a lui una duplice missione: primieramente di «negoziare con la Santa Sede un leale concordato su tutti i punti di litigio, che avessero dato e potessero dare motivo di discrepanza fra lo Stato e la Chiesa, un concordato che avesse per base, come voleva giustizia, la lihertà della Chiesa con che si avrebbe persuaso Sua Santità, più che con ogni altro mezzo, che la libertà di cui tanto si parla dappertutto e a cui si aspira dagli Italiani, era una libertà sincera, una libertà per tutti e quindi anco per la Chiesa, non una libertà irreligiosa, avente qualche altra cosa dietro a se»2, in secondo luogo di negoziare la confederazione.

Nella quale proposta di offrire quell’esca del concordato al Papa avvi più assai avvedimento politico e maggiore finezza di intuito che la semplicità della vita e degli atti e la umiltà dei

  1. G. La Farina, Storia d’Italia già cit, lib. III, cap. XXIII, pag. 470.
  2. A. Rosmini, Commentario cit., parte I, pag. 7 e 8.