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sua volontà e che erano gli effetti del clima storico, alla guerra, e che, per ciò, sia sotto il punto di vista piemontese, sia sotto quello italiano, desiderava e doveva desiderare di avere alleati — per quanto lievi aiuti avessero potuto recargli — i governi toscano e romano.

E quella necessità imprescindibile, quella fatalità storica che sospingeva Carlo Alberto e gli Italiani, principi e popoli, alla guerra. Pellegrino Rossi, ostinato, e involuto nel suo dottrinarismo, non vide, non volle vedere; non comprese, non volle comprendere le condizioni dei tempi, la situazione eccezionale in cui l’Italia - che pure egli tanto amava - si trovava in quel momento; per amore di una lega, ideale di perfezione, che rappresentava il meglio e che sarebbe stato possibile ottenere, forse, dopo lunga discussione, in tempi normali e tranquilli, non solo abbandonò, ma osteggiò la lega proposta da Rosmini e che il governo piemontese accettava, e la quale rappresentava il bene... cioè tutto il bene che, in quei giorni procellosi, fosse possibile conseguire. E, agendo in tal guisa, è necessario convenirne, egli arrecò grande nocumento a se stesso, più grande a quel Papato politico che — buttatosi a terra da sè — egli tentava rialzare, irreparabile poi a quella patria, che era stato il pensiero ed il desiderio di tutta la sua vita.

E, sventuratamente, è d’uopo confessarlo, in omaggio alla verità storica, in quel suo malauguratissimo articolo polemico, inserito nella Gazzetta di Roma del 4 novembre, il Rossi arrecò grave offesa al suo ingegno e al suo cuore. All’ingegno, perchè mostrava di non vedere, accecato dai suoi preconcetti dottrinari, nè le imperiose necessità del momento storico, nè la inopportunità e il danno del volere ad ogni costo Ferdinando di Borbone nella lega, nè il dovere ineluttabile che incombeva agli stati italiani di non lasciar solo il Piemonte, vessillifero dell’onore e dei destini nazionali, nella imminente lotta contro l’austriaco, primo e funestissimo nemico delle italiche genti.

Al cuore di Pellegrino Rossi faceva poi grande offesa quelr articolo sarcastico, scettico, egoistico, mercantile, contenente una quantità di volgari accuse e di basse insinuazioni ai danni e ad onta di quel magnanimo Re sardo, di quel generoso e tenacissimo popolo piemontese che avevano, allora allora, con