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capitolo quinto 257

immensi sacrifici di danaro e di sangue, sostenuto l’onore del nome italiano contro il prepotente straniero.

Il Farini ha riportato tutto intero quell’articolo: io, per la reverenza che nutro per tutta la vita e per la morte del Rossi, non ho il coraggio di riferirne neppure una frase e vorrei, se mi fosse possibile, lacerare quelle pagine sciagurate dalla produzione letteraria di Pellegrino Rossi. Scrivendo questo libro ho dovuto rileggere parecchie volte quell’articolo, mirabile di vigoria per arte polemica, ma brutto, lo ripeto, per il contenuto, bruttissimo per la forma, tutta satura di amaro disdegno e di velenosa ironia, in negozio di così alto momento. Ora a me è avvenuto che nel rileggere quell’articolo, severamente biasimato allora e poi, non so perchè nè come, fra i miei occhi e quelle pagine si frammettesse, ostinatamente, l’orrida figura di Pellegrino Rossi quale appare dipinta — coi colori con cui il sommo Shakespeare tratteggiò quella di Jago — dal Padre Gioacchino Ventura.

Certo si è che quell’articolo malaugurato produsse una dolorosa impressione in tutta Italia e accrebbe, in pochi giorni, a dismisura la impopolarità che già avvolgeva e ottenebrava nelle sue nebbie la luminosa persona del nuovo ministro di Pio IX.

Ad aumentare la quale impopolarità ancora di più, sopravvennero, indi a pochi giorni, le novelle delle gesta bolognesi del Generale Zucchi.

Le cui provvisioni erano lodevoli e lodate fino a che erano unicamente indirizzate alla tutela dell’ordine pubblico, all’infrenamento delle opere malvagie commesse da facinorosi e da rapinatori, ma divennero subito odiose ed eccitatrici di tumulti e minaccianti la guerra civile tosto che, uscendo dal campo della polizia, penetrarono in quello politico.

Il Generale Giuseppe Garibaldi con circa 150 suoi legionari, quasi tutti disarmati, chiedeva il passaggio per Bologna e per la Romagna, desideroso di imbarcarsi a Ravenna, per accorrere a difesa dell’eroica Venezia, sempre più stretta d’assedio dagli Austriaci. Il Zucchi, il quale aveva i pregiudizi dottrinari del Rossi, senza averne l’alto intelletto e che pensava, nella sua piccola mente, di poter dominare le popolazioni, sovraeccitate sino al parossismo, col piglio brutalmente soldatesco dei campi