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capitolo quinto 259

paiono i sentimenti ostili contro il valoroso Masina, contro il generale Garibaldi e i suoi seguaci1.

Ora anche di questi fatti odiosi e tali da eccitare le ire delle popolazioni, si faceva, da ogni parte, ricadere la responsabilità sul Conte Pellegrino Rossi, perchè «già troppo accesi erano gli animi per poter fare con equa misura le parti del biasimo e della giustificazione; e tutte le esorbitanze governative, da qualunque canto movessero, erano poste a carico del ministro, che riguardavasi dall’universale regolatore precipuo dello Stato»2.

E a lui nuocevano le approvazioni del Labaro e del Costituzionale e gli rendevano più fieri gli assalti quotidiani dell’Epoca, della Speranza, del Contemporaneo, del Casotto dei burattini, e fin anco della Pallade, la quale, insino agli ultimi di ottobre, gli era stata quasi sempre benevola e che il 6 novembre terminava il suo articolo di fondo, piuttosto ostile all’inerzia del ministero, con queste parole: «Ministri pontifici, vi ha tra voi chi può molto, chi ha un nome da redimere. Non si lasci sfuggire l’occasione propizia, o la sua fama è per sempre perduta!»3.

Il Don Pirlone poi, che aveva continuato a frecciare, dal principio alla fine di ogni suo foglio, il ministero e specialmente il Rossi, era tratto avanti al tribunale criminale di Roma, secondo turno, il giorno 10 novembre e, nonostante una dotta difesa dell’avvocato Giuseppe Petroni, era condannato alla confisca delle stampe figurate contenute nei suoi numeri 36 del 14 ottobre, 41 del 20 ottobre e 44 del 24 ottobre, nei quali egli aveva più atrocemente del solito messo in caricatura il Cardinale Soglia, il Rossi, il Massimo e il Cicognani.

Oltre all’odiosità che attraeva sul ministero quella condanna per sè stessa, quell’odiosità era accresciuta dal fatto che la sentenza

  1. Vedi Documento, n. LII, in fine di questo volume.
  2. A. Saffi, op. cit, cap. XIII, pag. 411. Della sinistra impressione che avevano prodotto la chiamata di tanti carabinieri a Roma, la rivista di essi e la espulsione dei due profughi napoletani e dell’ira che quei provvedimenti avevano concitato contro il ministro Rossi parlano vari testimoni nel processo - come meglio si vedrà in seguito - ma uno autorevolissimo e in modo esplicito, il dott. Diomede Pantaleoni nella sua deposizione, foglio 5957 a 9588.
  3. Pallade del 6 novembre 1818, n. 387.