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268 pellegrino rossi e la rivoluzione romana

al 29 aprile, ora era morto di consunzione, per fare argine alla rivoluzione, la quale razionalmente, inesorabilmente trionfante si avanzava; egli aveva, perciò, fin dal 16 settembre, impegnato un duello con la rivoluzione: ora il duello stava per finire; la rivoluzione, che era il sillogismo storico, abbatteva Pellegrino Rossi, che era il sofisma politico.

In quella stessa sera, in una piccola osteria della città, sette uomini si trovavano riuniti e stabilivano il modo di eseguire la uccisione di Pellegrino Rossi, la quale, probabilmente, era stata già deliberata la sera del 13 in un più ristretto convegno, tenuto, forse - dico forse - in una vendita di carbonari.

Della riunione della sera del 14 in quella tale osteria addurrò irrefiutabili prove, dedotte dagli atti processuali; del convegno della sera del 13 produrrò gl’indizi, anche essi dal processo dedotti, nel secondo volume, allorchè sciorinerò innanzi agli occhi dei lettori tutti gli avvolgimenti tortuosi del processo e del giudizio contro gli uccisori e i pretesi uccisori del Conte Pellegrino Rossi.

Cadono quindi e debbono cadere, di necessità, dinanzi alla verità storica e documentata, tutte le fandonie, le panzane, le menzogne narrate, ripetute e accresciute di frasche e ornate di fronzoli e ricamate di fantasticherie con cui, sopra uno stesso fondo, in trenta o quaranta modi diversi, è stato tramandato a noi questo sanguinoso dramma storico.

Le riunioni tenebrose al teatro Capranica, con relativa estrazione di palle nere, gli esperimenti fatti sopra un cadavere, o al teatro Capranica o alla camera incisoria dell’ospedale di San Giacomo in Augusta, le riunioni ai fienili di Ciceruacchio, tutte queste e tante altre belle cose consimili, accettate, quando in tutto e per tutto, quando limitatamente e con riserva, anche dagli storici nostrani più seri, raccontate in buona fede come verità evangeliche da quasi tutti gli storici stranieri, specialmente dai francesi1, sono tutte invenzioni romanzesche, messe

  1. Fra questi, più ricco di tutti in fandonie, quantunque sia quasi l’ultimo che ha scritto su questo argomento, è, come dissi in una nota precedente, il conte Henry D’Ideville. Di lui dovrò occuparmi parecchie volte nel secondo volume, quando verrò svolgendo avanti ai lettori tutta la tessitura del processo. Per ora ho un dovere da adempiere verso di lui e verso i miei lettori; di indicare, cioè, i principali errori di storia, di cronologia,