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288 pellegrino rossi e la rivoluzione romana

Infatti, ad un’ora di notte, il Rufini, appena disposto per la partenza del conte Zampieri, tornò al Quirinale per ricevere gli ordini del nuovo ministro Montanari, ma non lo trovò e non trovò che egli avesse lasciato ordini, «ma lui deve ritenere che ne abbia dati all'avvocato Pietro Pericoli e desume ciò dall’avergli il Pericoli detto il giorno appresso essere egli stato nominato direttore della sezione di polizia»1.

Il Pericoli, d’altronde, afferma «che il Montanari non si fidò del Calderari, per cui egli crede che questi la sera del 15 non ricevesse ordini da alcuno»2; mentre è evidente che se il Montanari non si fidava del Calderari, e voleva in qualche modo provvedere alle urgentissime difficoltà del momento, doveva dare il comando dei carabinieri a un ufficiale fidato - al Tenente colonnello Lentulus, per esempio - ma servirsi della forza dei carabinieri subito; perchè il pericolo, in quell’ora, stava negli indugi.

Comunque, è chiaro che quegli uomini, inferiori alle gravissime circostanze, non fecero nulla, non seppero far nulla e, a diminuire, non a cancellare, la loro responsabilità, aggiungerò che se, fossero stati assai più forti, energici e sapienti di quel che realmente erano, non avrebbero potuto impedire la rivoluzione: l’avrebbero forse potuta, tutta al più, ritardare di qualche giorno.

La sera, di fatti, avveniva, in parte, l’affratellamento delle milizie regolari col popolo; mentre un gruppo di centoventi, o centotrenta, fra fanatici e facinorosi — non più di cencinquanta —3 percorrendo le vie più frequentate della città, e non rispettando neppure lo strazio della famiglia Rossi, passando e soffermandosi avanti al palazzo di Malta, andavano cantando, sopra un motivo in voga a. quei giorni, una improvvisata e bruttissima strofetta:

Benedetta quella mano
Che il Rossi pugnalò

  1. Processo cit, deposizione Rufini, foglio 4040 a 4062.
  2. Processo cit., deposizione Pericoli, foglio 5015 a 5030.
  3. Io che scrivo, ricordo benissimo, e come fosse ora, quella esiqua e torva accozzaglia composta di una trentina di legionarii in panuntella, di un’ottantina di popolani, di otto o dieci dragroni, di quattro o cinque carabinieri, preceduta da poche faci resinose, la quale cantando quell’orrida strofetta e levando quell’acclamazione, passò, verso un’ora o un’ora e mezzo di notte, per via delle Muratte, ove, a quel tempo, nel palazzo dei Sabini, dimorava la mia famiglia.