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| 288 | pellegrino rossi e la rivoluzione romana |
Infatti, ad un’ora di notte, il Rufini, appena disposto per la partenza del conte Zampieri, tornò al Quirinale per ricevere gli ordini del nuovo ministro Montanari, ma non lo trovò e non trovò che egli avesse lasciato ordini, «ma lui deve ritenere che ne abbia dati all'avvocato Pietro Pericoli e desume ciò dall’avergli il Pericoli detto il giorno appresso essere egli stato nominato direttore della sezione di polizia»[1].
Il Pericoli, d’altronde, afferma «che il Montanari non si fidò del Calderari, per cui egli crede che questi la sera del 15 non ricevesse ordini da alcuno»[2]; mentre è evidente che se il Montanari non si fidava del Calderari, e voleva in qualche modo provvedere alle urgentissime difficoltà del momento, doveva dare il comando dei carabinieri a un ufficiale fidato - al Tenente colonnello Lentulus, per esempio - ma servirsi della forza dei carabinieri subito; perchè il pericolo, in quell’ora, stava negli indugi.
Comunque, è chiaro che quegli uomini, inferiori alle gravissime circostanze, non fecero nulla, non seppero far nulla e, a diminuire, non a cancellare, la loro responsabilità, aggiungerò che se, fossero stati assai più forti, energici e sapienti di quel che realmente erano, non avrebbero potuto impedire la rivoluzione: l’avrebbero forse potuta, tutta al più, ritardare di qualche giorno.
La sera, di fatti, avveniva, in parte, l’affratellamento delle milizie regolari col popolo; mentre un gruppo di centoventi, o centotrenta, fra fanatici e facinorosi — non più di cencinquanta —[3] percorrendo le vie più frequentate della città, e non rispettando neppure lo strazio della famiglia Rossi, passando e soffermandosi avanti al palazzo di Malta, andavano cantando, sopra un motivo in voga a. quei giorni, una improvvisata e bruttissima strofetta:
Benedetta quella mano |
- ↑ Processo cit, deposizione Rufini, foglio 4040 a 4062.
- ↑ Processo cit., deposizione Pericoli, foglio 5015 a 5030.
- ↑ Io che scrivo, ricordo benissimo, e come fosse ora, quella esiqua e torva accozzaglia composta di una trentina di legionarii in panuntella, di un’ottantina di popolani, di otto o dieci dragroni, di quattro o cinque carabinieri, preceduta da poche faci resinose, la quale cantando quell’orrida strofetta e levando quell’acclamazione, passò, verso un’ora o un’ora e mezzo di notte, per via delle Muratte, ove, a quel tempo, nel palazzo dei Sabini, dimorava la mia famiglia.