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capitolo sesto 297

le ragionevoli aspirazioni dei popoli, si sarebbe, per avventura, avviata l’Italia, con migliori auspicii, a quella unità, la quale, quantunque oggi irrevocabilmente compiuta, si risente tuttavia, e si risentirà lungamente, dell’essere stata più precipitata che fatta. L’opera era ardua, ma non impossibile; e Pellegrino Rossi era forse in Europa l’unico uomo capace di assistere il Papa a recarla in atto. Ma, spento quell’abilissimo per nefando assassinio, diretto appunto a troncare quel salutare concetto, fu tutta colpa del Vaticano se questo non si ripigliasse, quando la Provvidenza ne offeriva l’occasione e quasi ne imponeva il dovere»1.

«La sera del 19 novembre io ero a Roma» — scrive uno dei più ardenti carbonari, dei più caldi agitatori di quel tempo, Giovanni La Cecilia — «sebbene affranto dal correre a rompicollo, vidi il cavaliere Bargagli, cercai di rintracciare Filippo De Boni, lo Sterbini, Goffredo Mameli ed alcuni napoletani che mi istruirono per filo e per segno del nefando complotto che spense il ministro Rossi; potrei rivelarlo ed indicare le circostanze, le lunghe fila, la mano segreta e molto potente che diresse la congiura, i nomi degli esecutori che vivono ancora; ma non sarei più storico, invece un denunziante. Lo dirà fra cinquant’anni la storia della rivoluzione italiana: io serbo il segreto e vado innanzi. Fu utile e necessaria la morte del Rossi? io rispondo no: prima perchè trovo infame assassinare un uomo, anche malfattore; eppoi il ministro Rossi voleva per l’Italia, che amava, libertà temperata, ed una confederazione di stati come primo passo verso l’unità... Ma i piani del Rossi contrariavano le ambizioni di coloro che volevano fare un bel boccone dell’Italia e Rossi fu spento di pugnale! È un periodo di letale storia italiana che oggi rimane ancora sepolto fra le tenebre; un giorno, palesata, desterà orrore, e disprezzo fra i nostri posteri verso certi creduti padri della patria»2.


  1. C. M. Curci, Il Vaticano regio tarlo superstite della Chiesa cattolica, Firenze-Roma, fratelli Bencini editori, 1883, cap II, pag. 57.
  2. G. La Cecilia, Memorie storico-politiche cit, vol. V, pag. 241-42. È evidente, il La Cecilia esagera a sè stesso e ai suoi lettori l’importanza delle notizie avute e si dice in grado, perchè, in buona fede, ci crede, di rivelare la verità, mentre è evidente dallo studio che io ho fatto del processo e che parteciperò tutto ai miei lettori, che il La Cecilia era tratto dalle sue supposte esatte informazioni fuori della via dritta.