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324 pellegrino rossi e la rivoluzione romana

nale, che si intitolava, per derisione certamente, della Sacra Consulta.

Per quel che riguarda Pellegrino Rossi, il viaggio in mezzo al processo non potrà che confermare una circostanza di fatto da me già messa in evidenza ed è questa: che l’ambiente romano era ostilissimo all’infelice statista.

Il quale apparve, o fu realmente - tale è il modestissimo giudizio mio - in quel tragico momento storico, inferiore non soltanto alla sua fama, ma altresì alla misura che egli già aveva dato dell’altissimo ingegno suo anche in materia di stato. Inferiore nella visione, comprensione ed estimazione di quella drammaticissima situazione; inferiore nei modi tenuti e nei mezzi adoperati nel fronteggiarla.

Nel primo caso la inferiorità sua, derivante anzi tutto, principalmente — giova ripeterlo alla sazietà — dal suo fatale dottrinarismo, non diminuisce la potenza dell’ingegno, in lui maravigliosamente pieghevole a tutto, perchè inferiori nella visione, comprensione e valutazione del momento storico si mostrarono, al pari di lui, altissimi ingegni quali Vincenzo Gioberti, Antonio Rosmini, Giuseppe Ferrari, Terenzio Mamiani e tutti gli uomini più insigni che avesse l’Italia a quei giorni. Certo — e lo ripeto fu errore gravissimo e colpa nel Rossi — poichè gli errori degli uomini di stato, pei funesti effetti che recano ai popoli, divengono colpe — l’avere avversato la lega proposta dal Rosmini, quantunque io, per me, gliene darei venia; convinto come sono — contro il parere di molti autorevoli storici — che, anche col favore del Rossi, quella lega non si sarebbe ugualmente conchiusa; ma, allora, nel tempo in cui egli governava lo stato romano, fu errore quello, quella fu colpa di fronte ai suoi contemporanei.

Nel secondo caso, poi, la inferiorità al proprio ingegno e alla propria fama dimostrata dal Rossi nei mezzi e nei modi adoperati per fronteggiare quell’asperrima situazione, se da un lato fa torto alla soverchia presunzione che egli dimostrò di sè stesso, fa onore, dall’altro lato, alla sua soverchia, forse, e troppo dottrinaria lealtà costituzionale.

Troppo presunse di sè, attorniandosi in quel ministero di mediocrità e di nullità, in un momento in cui avrebbe fatto duopo che al fianco suo fossero stati tutti i maggiori ingegni che lo