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26 pellegrino rossi e la rivoluzione romana

Perché è cosa importantissima, per la intelligenza chiara, sincera, completa dell’anima, delle dottrine, delle opere, delle azioni tutte della vita di Pellegrino Rossi, è cosa importantissima notare, fino da adesso e una volta per sempre, che egli ha un’impronta tutta sua caratteristica, tanto nel campo storico, quanto nel politico, come nello scientifico, così nel sociale e questa impronta caratteristica, che fu un poco anche la divisa di parecchi suoi illustri contemporanei, ma di cui egli fu inve-

    tham, noi non esitiamo a porlo, come criminalista, fra i rappresentanti di questa scuola. E se ne giudichi». E lì, dopo aver riferito lunghi frammenti del Trattato di diritto penale del Rossi, e traendone conseguenze troppo ampie e troppo assolute, sì, è vero, ma, in parte, senza dubbio legittime e vere, conclude: «Il principio dell’utilità diviene così il primo e più grande principio di tutta la legislazione criminale». E lo Cherbuliez se ne allieta, perché egli è benthamista.

       E il Baudrillart (art. cit), dopo lungo discorso: «Quindi un sapiente accordo fra la giustizia e l’utilità sociale costituisce il carattere della vigorosa filosofia del diritto penale del Rossi». E il Duca de Broglie, in un articolo inserito nella Revue des Deux Mondes, nell’ultimo fascicolo dell’anno 1848, molto laudativo, naturalmente, del Rossi, scriveva: «C’era, in certo modo, sempre in lui l’uomo della scienza e l’uomo dell’arte, l’uomo che eccelleva nel risalire ai principi e l’uomo che riusciva meravigliosamente ad accomodarli alle abitudini, ai pregiudizi, alle debolezze, alle stesse vanità degli uomini». Un po’ troppo, in verità! Guai al povero Pellegrino Rossi, se le tinte di questo ritratto non le sapessimo caricate di soverchio da un coloritore irreflessivo ed esagerato! egli non più un 'eclettico conciliatore' sarebbe, ma un immorale Tartufo che trova toujours des accommodements avec le ciel. Il professore Pierantoni, con grande amore ed abilità (disc. cit.), difende da prima il Trattato di diritto penale del Rossi da parecchie critiche, che a lui sembrano infondate ed ingiuste. Egli rivendica quindi l’onore di Pellegrino Rossi dalle maligne insinuazioni di quel loiolesco vituperatore di quasi tutti i grandi italiani che fu Cesare Cantù, il quale ebbe fama usurpata di storico e fu libellista e calunniatore e non di rado, non ostante l’ingegno grandissimo e la vasta dottrina, non fu narratore della storia, ma, o per giudizi subiettivi ed appassionati, o per malvagità denigratrice dell’animo suo, fu della storia falsatore. Il qual giudizio sul Cantù non è mio soltanto - chè pronunciato da me, che valgo pochissimo, varrebbe nulla - ma è quello che hanno portato e portano ormai dello storico lombardo uomini insigni quali il De Sanctis, il Bertolini, il D’Ancona, il Carducci ed altri. Il professore Pierantoni poscia, a proposito del Trattato di diritto penale del Rossi, scriveva: «Il nostro Italiano, profondo conoscitore delle opere francesi e tedesche, proclamando l’alta filosofia, mosse dall’idea di provare la falsità, il carattere incompleto ed esclusivo delle due scuole di pubblicisti, volle dare ad entrambe un punto di riunione ed unico centro». Ho voluto riferire qui questi giudizi non solo per ciò che essi dicono intorno al Trattato di diritto penale del Rossi, ma anche perché essi sono la riprova e la giustificazione di ciò che io penso ed affermo intorno all'eclettismo conciliatore, impronta caratteristica della personalità di Pellegrino Rossi.