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374 pellegrino rossi e la rivoluzione romana


Documento N. III.

N. 1329.

(Copia di un Memoriale mandato agli Ecc.mi e Rev.mi Cardinali del Conclave).


Padri, e Principi Eminentissimi,

Prima di eleggere il Successore di Leone XII, e il nuovo Sovrano dello Stato Pontificio, piacciavi di ascoltare alcune voci di verità e di querela, che a voi arbitri di presente della loro sorte, porgono i Sudditi di questo Stato infelice. Al Trono assoluto di un solo, la verità non giunge senza pericolo; ma al vostro Augusto Consesso, che al Trono medesimo può dar legge, dee giungere accetta non che sicura.

È inutile andarvi enumerando i bisogni, ed i mali in che gemiamo da molti anni. E a chi non son noti? Non ci è permesso di consegnarli alla memoria della stampa, ma non pertanto sono meno palesi. Risuonano nei discorsi d’ognuno, e più parlano eloquentemente in quell’aspetto di tristezza, e di invilimento che è in tutti. Giudizi regolati non da leggi, ma da tradizioni civili, che per la loro molteplicità ed incertezza, sono più adatte, a produrli che a regolarli, mentre una procedura enormemente dispendiosa li paralizza; delitti senza un Codice, che li prevenga e li punisca: non diritti di Cittadino, o non sicuri: finanza senza ordinamento di politica economica: le fonti del Commercio inaridite: l’industria, non che aiutata, intercettata: niuna istruzione pubblica, e certo non quale agli usi della società si converrebbe. Quindi un crescer continuo di bisogni, ed il non saper di che soccorrerli: un temer sempre del peggio e un disperar d’ogni bene: uno sfinimento universale, una miseria estrema. E tanto lieta potrebbe essere questa bella parte d’Italia commessa a Governo de’ Romani Pontefici! Terre abbondevoli di ogni util prodotto, due Mari che la circondano, tanti fiumi che la irrigano, popoli di svegliato ingegno, ad ogni buona disciplina pieghevoli, ubbidientissimi. Più volte si è pensato di recare rimedio ai nostri mali: abbiamo per certo, che niuno v’ha fra voi, il quale non arda in cuore di tal desiderio. Ma un solo può essere il rimedio efficace e principale di tutti. Stabilire delle leggi universali ed organiche, che siano come fondamento del Pontificio Governo. Queste, o Padri, implora lo Stato da voi, e queste voi stabilite, e quindi imponetele a quello che dal vostro ceto eleggerete a salire sulla Sede Vacante. Abbia una volta lo Stato Pontificio quello di che non mancano mal appena gli Stati più lontani di civiltà; quello che, per la sua natura di elettivo, più facilmente di ogni altro potrebbe avere. Questo è il rimedio ai mali che ne affliggono.

Tolto per tali costituzioni l’arbitrio illimitato nella fonte stessa del potere, sarà tolta eziandio nelle sue emanazioni inferiori. Senza questo nome di pubblico correggimento, che speranza si può avere di un Principe buono, costantemente buono? Sia che abbia l’animo di esser tale; ma saprà esserlo?

Ogni Pontificato fu fecondo di desiderii e di progetti, ma quale di vera felicità? Non basta portare sul Trono un cuore acceso del bene pubblico, è duopo anche una mente che conosca i mezzi per procacciarlo, e questi doni di un’alta mente, di un cuore grande, raro unisce natura in un sol uomo.