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capitolo secondo | 59 |
E poiché mi trovo su questo punto delle opinioni professate da Pellegrino Rossi intorno alla potestà temporale dei Papi, antecedentemente alla sua venuta in Roma, importa che io inviti il lettore a soffermarcisi un momento, essendo cosa assai interessante conoscere ciò che pensasse nel 1833, a proposito del Papato, quest’uomo che darà, sedici anni appresso, la propria vita, per farne fragile e vano puntello al trono di Pio IX.
In un articolo, in cui Pellegrino Rossi esaminava, nel 1833, la Storia della Francia sotto Napoleone, scritta dal signor Bignon1, investigando il bene e il male della politica seguita dall’Imperatore verso il Papato, egli scriveva: «Il Papa e Napoleone erano due potenze che non si conoscevano fra di loro: Napoleone non comprendeva più la forza del capo del cattolicimao; Roma ignorava l’importanza del principio rappresentato da Napoleone, la possanza della rivoluzione.
«Nati nella medesima culla, il Cristianesimo e il 1789 ignoravano ancora la loro comune origine e la stretta loro parentela. E nondimeno la pace del mondo e il progresso della nuova civiltà non saranno assicurate che il giorno in cui questo riconoscimento sarà avvenuto e la pace fraterna sarà suggellata...
«Verso Roma non c’erano che due sistemi da adottare: o star fermi al concordato e affidare il resto all’azione lenta, ma sicura, del tempo e dell’esempio. Circondata da governi nuovi, da nuove istituzioni, da popoli imbevuti delle nuove dottrine sociali e politiche, impossibilitata d’impedire l’entrata di queste dottrine nei suoi stati, che avrebbe potuto Roma?
«Il potere temporale sarebbe un giorno caduto dalle sue deboli mani senza lotta, senza sforzo, come è avvenuto ieri, come avverrà domani se lo straniero gli toglie il suo appoggio2. Napoleone non aveva da far altro che dichiarare che considererebbe come caso di guerra - e ne aveva il diritto - qualunque sbarco di milizie straniere nello stato del Papa, le quali avreb-