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164 il processo di pellegrino rossi

di Quinto, ove egli era soprastante, e con il possesso e la vendita di cavalli provenienti da refurtiva ampiamente emergente dall’incartamento fulignate.

Le ripetute sue smargiassate dopo la uccisione del Conte Rossi, l’imprudentissimo e quasi si potrebbe dire provocante contegno tenuto da lui col fratello Francesco e con Felice Neri durante la troppo lunga loro dimora a Fuligno dal luglio al dicembre 1849, l’essere stato arrestato nell’atto di fuggire all’estero con Felice Neri, i concordi primi rapporti della Polizia che designavano i Costantini come complici della uccisione di Pellegrino Rossi costituiscono l’opprimente fardello sotto il peso del quale egli dovette presentarsi avanti al Giudice Istruttore.

Gli atteggiamenti troppo ingenui, quasi idioti, che egli assunse nei primi suoi interrogatorii e che lo trassero, più tardi, in gravi contraddizioni, non lo schermirono dalle deposizioni sempre più gravi che si venivano accumulando sopra di lui. Le reiterate accuse di Colomba Mazzoni Debianchi, la quale gli cambiava nome, è vero, ed equivocando col nome di Gigi Brunetti, lo chiamava Giggio, ma designava, nella descrizioni della persona e degli abiti, lui Sante Costantini, le vigliacche rivelazioni di Innocenzo Zeppacori, le deposizioni di molti testimoni e di alcuni coinquisiti e per fino dell’agente De Paolis, che era suo amico e gli aveva procurato il passaporto, deposizioni le quali constatarono la devozione di Sante verso Sterbini e Ciceruacchio anclie anteriormente all’omicidio del Rossi, le prove munerose raccolte sulla speciale protezione che lo Sterbini e Ciceruacchio accordavano ai due Costantini e al Ranucci, pubblicamente ritenuti complici della uccisione del Rossi, il frequente lampeggiare di quel maledetto pugnale che Sante Costantini avventatamente traeva dalla sua guaina finirono per costringerlo, man mano, a confessare molte circostanze da prima negate e lo avvilupparono in un ginepraio di accuse concrete, da cui lo sventurato, smessa la primitiva finta ingenuità, cercò, spesso con destrezza ed abilità, ma invano difendersi, ostinandosi, fino all’ultimo istante della sua vita, a proclamarsi innocente.