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capitolo ventesimo 179


Di poco minore a quella dello Sterbini risulta la responsabilità del Principe Carlo Luciano Bonaparte di Canino, la cui alta intelligenza, la cui estesa cultura, per quanto offuscate dalle passioni e dalla personale ambizione, avrebbero dovuto far vedere al Canino le funeste conseguenze di quell’eccidio, alla cui decisione risulterebbe aver egli concorso in massima, ove anche personalmente non vi avesse concorso negli ultimi accordi.

Alquanto minore, ma pure grave è la parte di responsabilità che nell’omicidio di Pellegrino Rossi risulta a carico di Pietro Guerrini, nel cui animo ardente di settario

    le quali venivano a confermare e ad aggravare la responsabilità del Direttore del Contemporaneo nella uccisione di Pellegrino Rossi già per cinquantanni incombente su di lui nell’opinione pubblica, mi spinsero dico ad interrogare l’onorando Deputato Giuseppe Lazzaro, che, insieme col cav. Deodato Lioy e col dott. Pietro Sterbini aveva fondato a Napoli il giornale Roma nel 1861. Tanto al Lazzaro, quanto al Lioy chiesi se, nei due anni circa di vita trascorsi a quasi quotidiano contatto con lo Sterbini, mai si fosse fra loro tenuto proposito dell’omicidio Rossi. Il Lazzaro più volte mi disse a voce e poi mi scrisse, e conservo la lettera, che mai ebbe occasione di parlare con lo Sterbini delle faccende di Roma. Il Lioy mi inviò una informazione dattilografata di cui gli rendo grazie e che io pubblico fra i documenti. E siccome io aveva inteso talvolta accennare ad una autodifesa dello Sterbini circa alle imputazioni fattegli per l’omicidio Rossi, e avevo chiesto al Lioy se egli ne avesse contezza, così il Lioy chiuse — come i lettori vedranno — la sua informazione con queste parole: Parlando dell’assassinio di Pellegrino Rossi, egli — lo Sterbini — lo attribuiva al partito clericale e non accennò ad un auto-difesa. Ma non pago di ciò io mi rivolsi al carissimo e rimpianto amico mio Federigo Napoli, uomo in cui le doti del vigoroso e poetico ingegno erano circonfuse dall’aureola di bontà, di nobiltà, di gentilezza che si effuse per tutta la vita dall’anima sua cavalleresca e che fu carissimo a Pietro Cossa, a Benedetto Cairoli e a Giuseppe Zanardelli, dappoichè egli era oriundo di Frosinone, chiedendogli le notizie che cercavo e pregandolo a parlarne ai discendenti dello Sterbini — se ve ne erano — affinchè, da lui informati delle resultanze processuali, mi fornissero, nell’interesse del loro aguato, quelle deduzioni o quei documenti che possedessero e credessero utili a difesa di lui. L’amato amico Napoli parlò di fatti col nipote diretto di Pietro Sterbini, figlio del di lui figlio, che allora, cioè nel 1907, si trovava a Frosinone, benchè abitualmente dimorante in Roma e il quale mostrò di interessarsi della cosa e rispose che sarebbe venuto egli stesso da me a parlarmi e ad informarmi. Ma, non avendolo mai veduto, dopo parecchi mesi scrissi nuovamente al caro Federigo, il quale mi rispose una bella lettera — che insieme a quella del Lazzaro e del Lioy conservo — in cui mi diceva che io già più di ciò che non fosse mio debito avevo fatto: adempissi al mio dovere di storico coscienzioso ed obiettivo e dicessi tutta la verità resultante dagli atti e, già, un po’ più, un po’ meno, nota nel circondario di Frosinone, severo nei suoi apprezzamenti sullo Sterbini.