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Non può trovarsi sulla terra una città che riunisca in sè tanti elementi di grandezza e di senno come Roma. Sono memorie, è vero, ma l’umanità si nutrisce di memorie e l’intelligenza deve a quelle il suo progressivo sviluppo.

Chi si oppone al risorgimento di Roma, chi contrasta agli Italiani il diritto di riunirsi in Campidoglio, è colpevole di lesa umanità, è degno dell’odio e del disprezzo universale.

Roma sola può essere la città, a cui rivolga i suoi sguardi il mondo intero, perchè soltanto in lei possono decidersi le sorti future di tutta l’umanità.

Tutto il valore del pensiero che si racchiude nelle due parole, Roma o morte, non fu conosciuto ancora abbastanza.

Noi cercheremo di svolgere quel concetto, innanzi a cui devono tacere le discordie dei partiti e le misere sciagurate passioni dei nostri governanti. Le chiamammo misere e sciagurate perchè vediamo che nell’animo loro non è ancora penetrata la convinzione della forza popolare, di cui possono disporre, e della forza morale che si racchiude nella magica parola, Roma.

22 agosto 1862.

Non si potrebbe meglio esprimere l’ideale di Pietro Sterbini: la terza Italia è chiamata a tradurlo in atto. Abbiamo in Roma i due Soli profetizzati da Dante: come concentrare i loro raggi? Mediante la libertà.

Pietro Sterbini era stato educato con idee del secolo XVIII, dell’antica bontà dell’uomo e credeva tutto possibile con un poco di buona volontà. La serie degli articoli pubblicati nel Roma sono ispirati da questo ottimismo. Egli gridava ai governi «Siate larghi e tutto andrà bene!».

L’ultimo suo articolo porta la data del 28 settembre 1863 due giorni prima della sua morte ed ha il titolo Un delirio feroce. Egli stigmatizzava il proclama sanguinario contro il clero di Polonia del Colonnello Moller ed esorta Napoleone III a non indugiare nei raggiri diplomatici, ma a riconoscere nei Polacchi il diritto di belligeranti e poi ad accorrere a liberare quel popolo martire, come lo chiamava Michelet.

La vita di Pietro Sterbini in Napoli fu semplicissima: la passava in famiglia e negli ufficii del giornale Roma.

Una organica malattia delle vie urinarie lo minava da 30 anni, cagionandogli febbri intermittenti, quando un’incuria renale lo tolse ai vivi il 30 settembre 1863. Ricevè i conforti religiosi. Le