Pagina:Pensieri di uomini classici sulla lingua latina.pdf/10

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tuto alla gloria della latina aspirare, che maestosa e sacra e reverenda con tuono veramente divino e con armonia di Paradiso nella Chiesa di Dio ad ogni ora unicamente risuona e in bocca della Fede sino alla fine dei secoli risonerà. Con questa gli oracoli suoi detta il Vaticano; con questa si dibattono e si decidono nei Concilii le questioni; con questa i sacerdoti offrono a Dio pel popolo le preghiere; con questa insomma come con un celeste potentissimo incanto entra nei nostri cuori la viva e penetrante parola di Dio. Si armò, come vedeste, si armò nei secoli andati e corse più volte a danni di questa lingua con furiosi assalti la ignoranza: e per distruggerla fino dall’ultimo agghiacciato mondo calarono popoli innumerabili, strani di lingue e di costumi, e vennero in queste nostre belle Provincie a diluvj. Se non chè poterono bensì abbattere e nelle sue ruine spartirsi la sterminata grandezza, che non potea reggersi, dell’Impero Romano, e con esso dar un gran crollo alla lingua, che colle settentrionali favelle imbastardita venne poi a creare queste nostre lingue volgari: ma non potè tutto quello sforzo de’ barbari spegnerla del tutto, né allo strepito dell’armi si ammutolirono mai le voci della Sposa di Dio, che ogni giorno (per servirmi della frase Dantesca) sorge a mattinare il suo sposo.

E qui fermiamo il nostro pensiero ad una considerazione di maggior rilievo. Quale sublime idea (dice quel grande e profondo apologista il sig. Conte De-Maistre) non è quella di una lingua universale per la Chiesa universale! Da un polo all’altro il Cattolico che entra in una Chiesa del suo rito è come nella propria casa, e nulla è straniero a suoi sguardi. Appena vi giunge sente ivi tutto ciò che altrove ha inteso per tutto il corso della sua vita, può unire la sua voce a quella de’ suoi fratelli. Gli intende, e n’è inteso, e può esclamare: Roma è tutta per tutto ov’io mi trovo. La fratellanza che risulta da una lingua comune