Pagina:Pensieri di uomini classici sulla lingua latina.pdf/4

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bamento delle guerre confermato ebbe forza di legge. Né qui vo’ ridirvi (per non istraziarvi l’orecchio) le brutte voci de’ Fauni, e l’orrido numero di Saturno, e la favella che si parlò quando le mandre di Evandro muggivano per lo foro Romano; né gli aspri accenti di Andronico, di Cecilio, di Fabio, di Fannio, di Pacuvio, di Lucilio, o d’altri vecchi scrittori della lingua latina. Valga per tutte la testimonianza di Marco Tullio, il quale confessa, che innanzi a’ tempi di Catone il Censore appena si può trovar cosa che degna sia di essere nominata per lingua; che Sergio Galba fu il primo che segnasse agli altri la via di rabbellire il sermone; che solo allora lo studio della lingua si ebbe in pregio quando l’impero di Roma fu steso intorno per ogni parte, e una durevol pace permise il vivere tranquillamente.

Diciamo adunque che nata sulle prime la lingua latina dalla mescolanza di tante diverse e certo barbare voci, povera d’ogni ornamento durò per gran tempo; finché divenuta Roma signora del mondo allora conosciuto, ella pure di signorile maestà e bellezza si vestì a dovizia; spezialmente quando la Grecia vinta volle, secondo il bel pensiero di Orazio, vendicarsi del Romano popolo vincitore ammaestrandolo benché in ceppi nelle arti belle, e facendogli ricco col proprio il suo linguaggio:

Græcia capta ferum victorem cæpit, et artes
Intuilit agresti Latio;

poiché coll’universale consentimento degli eruditi la greca lingua noi riconosciamo principalissima maestra e nudrice della latina. E già que’ primi maestri di stile diligenti in coltivare la lingua latina, a guisa di ottimi agricoltori lei primieramente tramutarono quasi pianta pellegrina da luogo selvaggio a domestico (dice l’accademico Speron Speroni): poi, perché e più tosto e più belli e maggiori frutti facesse, levandole via d’attorno le inutili frasche, in loro scambio l’innestarono d’alcuni ramoscelli maestrevolmente