Pagina:Pensieri di uomini classici sulla lingua latina.pdf/6

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dere ed obbedire. Tuttavia Carlo Magno le stese pietosa una mano, e già la facea rivivere insieme colle arti: ma colla sua morte morì ogni sua speranza: e si tornò a tanto orrore che per que’ papiri e per quelle cuoja de’ poveri notaj e de’ cherici non vi era più orma grammaticale, tolta essendo perfino la significanza delle parole. Giunse a tale che supplichevole passò in Germania all’Imperator Ottone un maestro di lettere chiedendo; e con Adalberto il Monaco sen ritornò all’Italia sepolta omai nella barbarie e nella ignoranza. Così povera e guasta pervenne al secolo prima del mille, secolo il più deforme ed oscuro, il più sciagurato ed ignorante che vi fosse mai. Fino il timore che coi mille anni avesse il mondo a finire gittò i popoli in tale disperazione da lasciare non che ogni studio anche ogni affare in abbandono. Ma all’uscire dell’anno millesimo cessato quello spavento ripresero vita gli studj. Notaj, cancellieri, segretarj di principi e di città la usarono novellamente; con uno stile però che faceva orrore, alle sue voci quelle mescolando de’ varj dialetti che allor nasceano, e spezialmente del volgare italiano che cominciava a fiorire. Saliva ella ancora sui pergami, ma intesa da pochi: e nel 1189 sermonando in latino il Patriarca d’Aquileja fu la sua predica ripetuta in volgare al popolo dal Vescovo di Padova. Altrove poi giunsero persino ad intrecciarla nelle prediche col volgare italiano ad ogni riga, ad ogni mezzo periodo, talché comico più ch’altro ne riusciva lo stile. Allora contenta ella di cedere il posto alla sua bella figliuola, all’italica favella, volle piuttosto divenir muta che barbara sul labbro del volgo (benché dall’unghero, dal polacco e da altri come che sia ancora la si favelli) e sen rimase sulle bocche e sulle penne dei dotti non più nel linguaggio comune, ma vivendosi ristretta nei libri.

Cessato a quest’epoca nell’Italia l’uso di parlare latinamente presso del popolo, guidati noi dalla storia ragioniamo così. La