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Nel 1848, la città d’Alessandria mandò il Ratazzi al Parlamento. Egli vi si tenne a parte nei primi tempi. Sia tattica, sia istinto di osservazione, Ratazzi volle conoscere di quali elementi si componesse la Camera e fino a qual punto potevasi contare sur essa. Egli aveva preso il suo partito fin dal primo giorno. Si mostrò però in tutto il suo essere il 23 maggio, quando la Camera fu chiamata a discutere sulla fusione della Lombardia col Piemonte. Ratazzi domandò una Camera Costituente, la libertà assoluta della stampa, e l’armamento generale della guardia nazionale. Tenne testa, per dieci giorni, al conte di Cavour, il quale non ne voleva mica tanto. Ma le idee del Ratazzi furono adottate a mezzo, ed il Gabinetto essendosi rimpastato, egli entrò nella nuova combinazione con Casati, Ricci e Pareto.

Dopo la disfatta di Custoza, il Ministero cadde, ed il Gabinetto conservatore del signor Pinelli rivenne a galla. La sua vita però non fu lunga. Battuto sulla legge della pubblica istruzione, Pinelli dette la sua demissione, ed il re riprese un Ministero detto democratico, nel quale Ratazzi occupò da prima il portafoglio della giustizia, poi quello dell’interno. Il suo primo atto fu una circolare ai vescovi, con la quale li minacciava di farli arrestar tutti, se continuassero a predicare ed a far pastorali contro la libertà. Il suo atto il più importante però fu la resistenza che oppose all’abate Gioberti, presidente del Consiglio, il quale voleva occupar la Toscana e gli Stati pontificii colle truppe piemontesi. Egli dette la sua demissione.