Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/346

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mava, tre o quattro giorni dopo, verso mezzodì, alle sponde del mare alla punta di Baia. Le due persone che ne discesero erano: il conte di Altamura, travestito da viaggiatore inglese, ed il commissario di polizia addetto al ministro, Fuina. Una barca condotta da sei rematori li aspettava.

Quel sito è desolato. Il promontorio di tufo giallo, forellato come una spugna, corroso, incrostato di uno strato di sale dall’evaporazione marittima, tigrato qua e là da un ciuffo di erba grigia a filamenti ossei, animato solo da un formicolaio di piccole lucertole color piombo, intaccato da ogni lato, non esprimendo nulla, avendo dei bernoccoli insulsi, dei crepacci ciechi, dei gibbi muti, questo promontorio, dico, non ha nulla di poetico, nulla di bello, nulla di terribile nè di assolutamente lugubre. Esso giace sopra un letto di sabbie grige, che lo contornano di un lembo triste e terminano l’arco del golfo come un braccio mutilato.

Nessuno abita la spiaggia. Alla cima del promontorio, che dal lato di Baia declina a dolce scoscesa, torreggia una ruina, un dì casotto di doganieri, ora (1847) abbandonato e demolito. La si direbbe, questa punta di Baia, un dente cariato spezzato.

Il mare era cattivo. Il cielo losco. Le onde sonore si frangevano con alacrità sulla spiaggia e lasciavano sulla sabbia un collare di schiuma giallastra mista di brandelli di alga. Procida, dall’altro lato del canale, si abbozzava appena sopra un fondo di vapori cenerognoli. L’aria era pesante, densa; punto di vento. I gabbiani e gli smerghi non pigliavano posa. Malgrado però il rumore dei fiotti