Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/400

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quell’epoca si viaggiava per la diligenza che faceva il servizio della posta due volte per settimana. Per non compromettere il vescovo in faccia alla corte napolitana, nè il barone di Sanza, nè il colonnello Colini, nè il marchese di Tregle andarono a dirgli addio all’uffizio della diligenza. Gli mandarono i loro complimenti per mezzo di don Gabriele, il quale, avendo accompagnato il marchese di Tregle in qualità di cameriere o d’intendente, aveva ottenuto il permesso di ritornare a Napoli.

Don Gabriele aveva la nostalgia dei suoi pupazzi. Egli aveva provato di far gustare ai romani il suo teatrino ambulante che dava il farnetico ai napoletani, ma non aveva avuto alcun successo. Aveva quindi preso Roma in uggia.

Si caricavano già i bagagli sulle vetture, i viaggiatori erano già riuniti, quando il P. Buzelin arrivò. Egli cercava degli occhi Don Diego. Lo scorse in fatti, ma favellando col segretario dell’ambasciata di Napoli. Ebbe un movimento di viva contrarietà. Don Gabriele che gironzava intorno alle carrozze, sorvegliando il carico del bagaglio del vescovo, riconobbe il gesuita, cui aveva sovente visto in compagnia dei suoi amici. Si avvicinò dunque e gli dimandò:

— Padre riverendissimo, avete bisogno di qualche cosa da Napoli?

— Che? partite anche voi?

— Ah! per bacco, sì! sclamò don Gabriele, e cominciò a zufolare il ritornello di una canzone napolitana in voga: «Napole bello mio!»....

Il gesuita restò pensieroso un momento, poi riprese: