Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/65

Da Wikisource.

— 57 —

una cucina, che serviva altresì di sala da pranzo. Le mura erano state tinte a terra gialla in colla forse vent’anni innanzi. Il suolo era a quadrelli; il soffitto a travi coperti di carta gialla a gigli turchini. Dei piccoli vetri anneriti dalla polvere oscuravano le finestre, ed i ragnateli tenevano luogo di cortine. Tutto ciò aveva l’aria sinistra e gocciolava la tristezza e la solitudine. Un romito vi poteva pregare; un malfattore scannare e fondere moneta falsa.

Al piccolo mobilio portato di provincia, Don Diego aggiunse alcune sedie, un vecchio canapè coperto di tela di crine e borrato di pietre, una tavola, un vecchio stipo, una mensola a mezza luna, verniciata nero, a marmo bianco smussato. Don Tiberio diede il consiglio di allogar su quella mensola i busti in gesso del re e della regina, e di appendere in qualche angolo del salone un gran Cristo, ch’e’ gli somministrò. Bisognava mobigliar quella camera per ricevere la polizia ed i messi dell’arcivescovo di Napoli, e, per conseguenza, alla convenienza di costoro. Del resto, non seggioloni, non tende, non tappeti, non specchi, non orologi, non candelabri: in mezzo del salone, al posto della lumiera, una gabbia con un canarino che non cantava più.

Erano degli avanzi che ornavano una tomba!

Bambina si sentiva soffocata; Don Diego, rotto e schiacciato. Egli, l’ho detto, dava alla sua dimora la toiletta appropriata ad ammortire i sospetti della gente officiale che sarebbe venuta a snidarlo.