Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/88

Da Wikisource.

— Che mi vogliono ancora? mormorò Don Diego. Non mi sbarazzerò dunque giammai di codesta orrida ribaldaglia.

All’ora indicata, nondimanco, si trovò alla presenza di Campobasso, il quale lo ricevè con un piglio più brutale che mai. Egli intimò alla sua vittima di avere a lasciar Napoli fra quindici giorni, per ordine del prefetto di polizia. Fu un colpo di fulmine per quel disgraziato che aveva appena speso quasi intero il minimo peculio per installarsi su quell’angolo di terra da cui ora lo si espelleva senza pietà e senza pretesto. Se avesse saputo ove andare almeno! se almeno fosse stato solo!

Le lagrime gli rotolavano per gli occhi. Divenne orribilmente pallido. Barcollò. L’atroce commissario si sentì quasi intenerito.

— Gli è per ordine del ministro, disse egli. Non ci è a recedere.

— Ma che ho dunque fatto? domandò Don Diego con una voce soffocata, che ho dunque fatto che mi si tratta peggio dei forzati?

— Ciò che i forzati non fanno, rispose il commissario. Voi vi mischiate degli affari del vostro paese, della sua morale, del suo governo, di libertà, di dignità e di non so che altre fandonie. Ma quando si ha la perversità di cospirare contro lo Stato, si dovrebbe almanco avere abbastanza spirito per scegliere i suoi complici.

— Ma io non cospiro, gridò Don Diego.

— Contatela ad altri, figliuolo, replicò il commissario. Non sono forse i vostri amici che vi hanno denunziato?