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caratteri e materia dell’umorismo 169

E quest’appunto distingue nettamente l’umorista dal comico, dall’ironico, dal satirico. Non nasce in questi altri il sentimento del contrario; se nascesse, sarebbe reso amaro, cioè non più comico, il riso provocato nel primo dall’avvertimento d’una qualsiasi anormalità; la contraddizione che nel secondo è soltanto verbale, tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso, diventerebbe effettiva, sostanziale, e dunque non più ironica; e cesserebbe lo sdegno o, comunque, l’avversione della realtà che è ragione d’ogni satira.

Non che all’umorista però piaccia la realtà! Basterebbe questo soltanto, che per poco gli piacesse, perchè, esercitandosi la riflessione su questo suo piacere, glielo guastasse.

Questa riflessione s’insinua acuta e sottile da per tutto e tutto scompone: ogni imagine del sentimento, ogni finzione ideale, ogni apparenza della realtà, ogni illusione.

Il pensiero dell’uomo, diceva Guy de Maupassant, «tourne comme une mouche dans une bouteille». Tutti i fenomeni, o sono illusorii, o la ragione di essi ci sfugge, inesplicabile. Manca affatto alla nostra conoscenza del mondo e di noi stessi quel valore obiettivo che comunemente presumiamo di attribuirle. È una costruzione illusoria continua.

Vogliamo assistere alla lotta tra l’illusione, che s’insinua anch’essa da per tutto e costruisce a suo modo; e la riflessione umoristica che scompone ad una ad una queste costruzioni?

Cominciamo da quella che l’illusione fa a ciascuno di noi, dalla costruzione cioè che ciascuno per opera dell’illusione si fa di sè stesso. Ci vediamo noi nella nostra vera e schietta realtà, quali siamo, o non piuttosto quali vorremmo essere? Per uno spontaneo artificio interiore, frutto di segrete tendenze o d’incosciente imitazione, non ci crediamo noi in buona fede