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Pagina:Pirandello - Novelle per un anno, Volume IX - Donna Mimma, Firenze, Bemporad, 1925.pdf/133

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Di settembre, su quell’altipiano d’aride argille strapiombante franoso sul mare africano, la campagna già riarsa dalle rabbie dei lunghi soli estivi, era triste: ancor tutta irta di stoppie annerite, con radi mandorli e qualche ceppo centenario d’olivo saraceno qua e là. Tuttavia fu stabilito che i due sposi vi passassero almeno i primi giorni della luna di miele, in considerazione dello sposo.

Il pranzo di nozze, preparato in una sala dell’antica villa solitaria, non fu davvero una festa per i convitati.

Nessuno di essi riuscì a vincere l’impaccio, ch’era piuttosto sbigottimento, per l’aspetto e il contegno di quel giovanotto grasso, appena ventenne, dal volto pavonazzo, che guardava qua e là coi piccoli occhi neri, lustri, da pazzo, e non intendeva più nulla, e non mangiava e non beveva e diventava di punto in punto più rosso, violaceo.

Si sapeva che, preso d’un amor forsennato, per colei che ora gli sedeva accanto, sposa, aveva fatto pazzie, fino al punto di tentare di uccidersi: lui, ricchissimo, unico erede dell’antico casato dei Berardi, per una che, dopo tutto, non era altro che la figlia d’un colonnello di fanteria, venuto col reggimento da un anno in Sicilia. Ma il signor colonnello, mal