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XI. — Un cavallo nella luna. | 127 |
poco più. Erano appena le cinque. Là, nella villa, i servi dovevano ancora sparecchiare. Prima di sera sarebbero stati di ritorno.
Cercò d’opporsi Nino, ma ella lo tirò su per le mani, lo fece sorgere in piedi, e poi via di corsa per il breve pendìo di quella collinetta e quindi per quel mare di stoppie, agile e svelta come una cerbiatta. Egli, non facendo a tempo a seguirla, sempre più rosso e come intronato, sudato, ansava, correndo, la chiamava, voleva una mano:
— Almeno la mano! almeno la mano! — andava gridando.
A un tratto ella si fermò, dando un grido. Le si era levato davanti uno stormo di corvi, gracchiando. Più là, steso per terra, era un cavallo morto. Morto? No, no, non era morto: aveva gli occhi aperti. Dio, che occhi! che occhi! Uno scheletro, era. E quelle costole! quei fianchi!
Nino sopravvenne, stronfiando, arrangolato:
— Andiamo.... subito, via! Ritorniamo indietro!
— È vivo, guarda! — gridò Ida, con ribrezzo e pietà. — Leva la testa.... Dio, che occhi! guarda, Nino!
— Ma sì, — fece lui, ancora ansimante. — Son venuti a buttarlo qua.... Lascia; andiamocene! Che gusto? Non senti che già l’aria....
— E quei corvi? — esclamò ella con un brivido d’orrore. — Quei corvi se lo mangiano vivo?
— Ma, Ida, per carità! — pregò lui a mani giunte.
— Nino, basta! — gli grido allora lei, al colmo della stizza nel vederlo così supplice e melenso. — Rispondi: se lo mangiano vivo?
— Che vuoi che sappia io, come se lo mangiano? Aspetteranno....