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XI. — Un cavallo nella luna. | 129 |
si sentì all’improvviso abbrezzare, stolsò e si mise a battere i denti, con un tremore strano di tutto il corpo; si tirò su istintivamente il bavero della giacca e, con le mani in tasca, cupo, raffagottato, disperato, andò a sedere discosto, su una pietra.
Il sole era già tramontato. Si udivano da lontano le sonagliere di qualche carro che passava laggiù per lo stradone.
Perchè batteva i denti così? Eppure la fronte gli scottava e il sangue gli frizzava per le vene e le orecchie gli rombavano. Gli pareva che sonassero tante campane lontane. Tutta quell’ansia, quello spasimo d’attesa, la freddezza capricciosa di lei, quell’ultima corsa, e quel cavallo ora, quel maledetto cavallo.... oh Dio, era un sogno? un incubo nel sogno? era la febbre? Forse un malanno peggiore. Sì! Che bujo, Dio.... che bujo! O gli s’era anche intorbidata la vista? E non poteva parlare, non poteva gridare. La chiamava: “Ida! Ida!„ ma la voce non gli usciva più dalla gola arsa.
Dov’era Ida? Che faceva?
Era scappata al lontano casale a chiedere ajuto per quel cavallo, senza pensare che proprio i contadini di là avevano trascinato qua la bestia moribonda.
Egli rimase lì, solo, a sedere sulla pietra, tutto in preda a quel tremore crescente; e, curvo, tenendosi tutto ristretto in sè, come un grosso gufo appollajato, intravide a un tratto una cosa che gli parve.... ma sì, giusta, ora, per quanto atroce, per quanto come una visione d’altro mondo. La luna. Una gran luna che sorgeva lenta da quel mare giallo di stoppie. E, nera, in quell’enorme disco di rame vaporoso, la testa inteschiata di quel cavallo che attendeva