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134 | Novelle per un anno. |
ceva, per cui le budella ai nipoti, alle serve, si ritorcevano dentro come una fune, lui li chiamava servizi. Capace di stare giornate sane in cucina a ritagliare e tentar d’incollare striscioline di carta per medicare un vetro rotto della finestra a usciale che dava su una specie di ballatojo, dov’era puzzolentissimo il casottino del cesso. La cuoca si dannava.
— Ma lei che sente la puzza dei mobili vecchi, o non la sente codesta del cesso? —
Non la sentiva, quella; e seguitava, sorsando, soffiando, smusando, a tentare d’incollare quelle striscioline di carta.
E ora eccolo giù in giardino, infuriato contro un’ala del cancello che, interrata, non voleva più andare nè avanti nè indietro. Illividito dalla congestione e con le vene del cranio che gli scoppiavano, dava certe scrollate che le braccia, appena i ferri del cancello brandivano in contrasto, pareva gli si dovessero staccar nette dal busto. I nipoti gli gridavano dalle finestre:
— Smettila, zio! Non vedi che non s’apre?
— La smetto? O io l’apro, o ci crepo! —
Non l’apriva e non ci crepava: veniva su, tutto slogato, in un bagno di sudore, presentando le manine ridotte una pietà, perchè gli fossero unte d’olio e fasciate.
Quando poi era stanco di farne ai suoi di casa, usciva e si metteva a far dispetti alla gente per via: per esempio, certe giornate che pioveva a dirotto, andando a pigliarsi apposta sull’ombrello lo sgrondo di tutte le case, con un’aria così parlante di farlo per dispetto, che veniva la tentazione a chi gli passava accanto di strapparlo per un braccio accosto al muro. Il piacere maligno, che sotto sotto ne provava, gli