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VI. — Sedile sotto un vecchio cipresso. | 69 |
cieca fiducia; questa volta però, a giudizio di tutti, non mal collocata. Il giovane avvocato Carlo Papìa.
Lo aveva accolto nel suo studio, appena laureato. Le quattro figliuole, allora bambine, vedendolo accorrere, gli andavano incontro festanti, perchè sapevano che di lì a poco, con la sua venuta, il sorriso sarebbe ritornato sulle labbra della madre e anche del padre; e, appena rimessa la pace, volevano andare a spasso con lui; ed era ogni volta una zuffa per accaparrarsi una sua mano: ne volevano una per ciascuna, e lui a disperarsi ridendo e mostrando che ne aveva due sole e che non poteva accontentarle tutt’e quattro. In paese, vedendolo in mezzo a quelle quattro bambine chiacchierine e affettuose, gli amici gli facevano festa e gli predicevano che presto, così ben protetto ed entrato nelle grazie della famiglia, avrebbe avuto il premio dei lunghi sacrifizi che la sua laurea doveva esser costata ai suoi poveri parenti da un pezzo decaduti.
Ma può un marito impunemente chiamar di mezzo tra sè e la moglie più giovane di lui un altr’uomo anche più giovane della moglie, di piacevole aspetto e di modi graziosi, esercitati a persuadere l’amore e l’accordo? Scoperto il tradimento, l’avvocato Lino Cimino si comportò naturalmente da quello strambo che era. Incongruenze su incongruenze, una più pazza dell’altra. Non si vuol negare che è inutile studiarsi di tener segrete certe cose perchè non trapelino a nessuno: ad onta d’ogni diligenza ci s’accorge poi per tanti segni che tutti invece sanno e che solo per pietà han finto d’ignorare. Ma certamente peggio è fare lo scandalo e poi, di fronte alle ultime conseguenze di esso, arrestarsi e rimanere così a mezzo nella vergogna di cui abbiamo voluto dar pubblico