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XII
HO TANTE COSE DA DIRVI...
a lettera, in un bel foglietto volgarissimo, di suprema eleganza provinciale, color di rosa e filettato d’oro, finiva cosí:
“... se parlo d’ansia tu puoi ben dire: ma sei vecchio, sei, povero il mio Giorgio! Ed è vero, sono vecchio, sí; ma dêi pensare, Momolina, che fin da ragazzo io t’ho amata, e quanto! Dicevi d’amarmi anche tu, allora! Venne la bufera — proprio la bufera — e mi ti portò via. Quantı mai anni sono passati? Vent’otto... Ma come si fa che son rimasto sempre lo stesso? Dico meglio: il mio cuore! Non dovresti perciò farmi aspettare piú a lungo la risposta. Sai? Io verrò a te domanı. Hai avuto circa un mese per riflettere. Mi devi dire domani o sí o no. Ma dev’essere sí, Momolina! Non far crollare il bel castello che ho edificato in questo mese, il bel castello dove tu sarai regina e tutte le mie speranze ancora giovani ti serviranno come ancelle amorose...„
La signora Moma s’accorse che quest’ultima frase, cosí poetica, era stata aggiunta, appiccicata dopo scritta la lettera. Il signor Giorgio, o non aveva voluto sprecare il bel foglietto color di rosa, filettato d’oro; o non aveva voluto sobbarcarsi alla fatica di rifar di nuovo, chi sa con quanto stento, in bella copia la lettera, con tutti quegli svolazzi in fine d’ogni parola; e, con molta industria allora, aveva costretto la poetica frase, sovvenutagli tardi, forse nel rileggere la lettera prima di chiuderla nella busta, a capir tutta, di minutissimo carattere, nel poco spazio che avanzava nel rigo dopo il tu sarai regina. L’appiccicatura, saltando agli occhi evidente, rendeva piú che mai goffe quelle speranze ancora giovani che dovevano servirla come ancelle amorose. E, ottenne questo bell’effetto: che la signora Moma, sbuffando, buttò via la lettera, senza leggerne le ultime righe.
— Oh Dio, viene domani? Ma come non capisce, cretino, che non voglio saperne?