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46 | luigi pirandello |
E guaj a chi, a Péola, apriva la bocca per sbadigliare! Gli restava aperta per un’infilata di almeno cinque sbadigli alla volta. Entrata in bocca a uno, la noja non si risolveva a uscirne facilmente. E tutti, a Péola, per ogni cosa da fare chiudevano gli occhi e sospiravano:
— Domani...
Perché oggi o domani era lo stesso, cioè domani non era mai.
— Vedrà quanto poco avrà da fare all’ufficio del telegrafo, — concluse. — Non se ne serve mai nessuno. Vede questo trenino? Va col passo d’una diligenza. E anche la diligenza rappresenterebbe un progresso per Péola. La vita, a Péola, va ancora in lettiga.
— Dio Dio, lei mi spaventa! — disse la signora Lucietta.
— Non si spaventi, via! — sorrise quel signore. — Ora le do una buona notizia: fra pochi giorni avremo al Circolo una festa da ballo.
— Ah...
E la signora Lucietta lo guardò come colta in un lampo dal sospetto, che anche questo signore si volesse burlar di lei.
— Ballano i cani? — domandò.
— No: i “civili” di Péola... Ci vada: si divertirà. Giusto il Circolo è su la piazza, vicino all’ufficio del telegrafo. Ha trovato l’alloggio?
La signora Lucietta rispose di sí, che lo aveva trovato nella stessa casa che prima ospitava l’ufficiale telegrafico suo predecessore. Poi domandò:
— E lei, scusi... il suo nome?
— Silvagni, signora. Fausto Silvagni. Sono il segretario comunale.
— Oh guarda! Piacere.
— Mah!
E il Silvagni levò una mano dal pomo del bastone a un gesto sconsolato, atteggiando il volto d’un sorriso amarissimo, che gli velò d’intensa malinconia i grandi occhi chiari.
Il treno salutò con un fischio lamentoso la stazionuccia di Péola.
— Qua?