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la rosa | 57 |
gesse vivi e spiranti tra le braccia... Chi sa! Non poteva fermarla, trattenerla e ritornare per essa e con essa finalmente dal suo lontano esilio? Se egli non la fermava, se egli non la tratteneva, chi sa dove e come sarebbe andata a finire, quella povera fatina folle. Aveva bisogno d’ajuto, anche lei, bisogno di guida e di consiglio, cosí sperduta anche lei in un mondo non suo, e con quella gran voglia di non perdersi, ma anche ahimé, di godere. Quella rosa lo diceva, quella rosa rossa tra i capelli...
Fausto Silvagni guardava da un pezzo, costernato, quella rosa. Non sapeva perché. La vedeva su quel capo come una fiamma... Si scoteva tanto quella testolina folle; come non cascava quella rosa? Ebbene, temeva di questo? Non sapeva dirselo, e seguitava a guardarla, costernato.
Dentro, intanto, sotto sotto, il cuore gli diceva, tremando:
— “Domani; domani o uno di questi giorni, parlerai... Ora lascia ch’ella balli cosí, come una fatina folle...”
Ma ormai la maggior parte dei cavalieri cascavano a pezzi dalla stanchezza; si dichiaravano vinti e si voltavano attorno, come ubriachi, in cerca delle loro donne andate via. Solo sei o sette ancora resistevano, accaniti, tra cui due anziani — chi l’avrebbe creduto? — il vecchio sindaco in abito lungo e il notajo vedovo, tutt’e due in uno stato miserando, con gli occhi schizzanti dalle orbite, le facce sudate, infocate, impiastricciate di tintura, la cravatta di traverso, la camicia spiegazzata, tragici in quel loro furore senile. Erano stati finora respinti dai giovanotti; ora, frenetici, si rilanciavano per farsi buttare uno dopo l’altro come balle su le seggiole, appena compiuti due giri.
Era la stretta finale, l’ultima danza.
Se li vide tutti e sette attorno, sopra, aggressivi, furibondi, la signora Lucietta.
— Con me! con me! con me! con me!
N’ebbe sgomento. D’un tratto le s’avventò agli occhi la bestiale sovreccitazione di quegli uomini, e al pensiero ch’essi avessero potuto bestialmente accendersi per la sua innocente festività, provò ribrezzo, onta. Volle fuggire, sottrarsi a quell’aggressione; ma, allo scatto di cerbiatta,