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— Ha ragione; è proprio così, signor Ferro! Ma inevitabilmente, veda, noi ci costruiamo, vivendo in società... Già, la società per se stessa non è più il mondo naturale. È mondo costruito, anche materialmente! La natura non ha altra casa, che la tana o la grotta.

— Allude a me?

— Come, a lei? No.

— Sono della tana o della grotta?

— Ma no! Volevo spiegarle perchè, a mio modo di vedere, si mentisce inevitabilmente. E dico che mentre la natura non conosce altra casa che la tana o la grotta, la società costruisce le case; e l’uomo, quando esce da una casa costruita, dove già non vive più naturalmente, entrando in relazione co’ suoi simili, si costruisce anch’esso, ecco; si presenta, non qual è, ma come crede di dover essere o di poter essere, cioè in una costruzione adatta ai rapporti, che ciascuno crede di poter contrarre con l’altro. In fondo, poi, cioè dentro queste nostre costruzioni, messe così di fronte, restano ben nascosti, dietro le gelosie e le imposte, i nostri pensieri più intimi, i nostri più segreti sentimenti. Ma ogni tanto, ecco, ci sentiamo soffocare; ci vince il bisogno prepotente di spalancare gelosie e imposte per gridar fuori, in faccia a tutti, i nostri pensieri, i nostri sentimenti tenuti per tanto tempo nascosti e segreti.

— Già... già... già... — approvò parecchie volte Carlo Ferro, ridivenuto fosco. — Ma c’è chi s’apposta anche, e si tiene in agguato dietro codeste costruzioni che dice lei, come un vigliacco manigoldo a un canto di strada, per assalire alle spalle,