Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/192

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E con una mano s’aggiustava, si carezzava su le tempie i cernecchi arricciolati della parrucca artistica, mentre con l’altra mano... che? ma sì... aveva sulle ginocchia Piccinì, la sua nemica, e le carezzava la testina... Povero papà! Doveva essere in uno dei suoi momenti più tragici e patetici!

Veniva dalla Villa un fruscìo di foglie lungo lento lieve; dalla via deserta qualche suono di passi e il rapido fragorìo scalpitante di qualche vettura frettolosa. Il tintinnìo del campanello e il protratto ronzìo della carrùcola scorrente lungo il filo elettrico delle linee tramviarie pareva strappasse e si strascinasse dietro con violenza la via, con le case e gli alberi. Poi taceva tutto, e nella calma stanca riassommava un suono remoto di pianoforte chi sa da quale casa. Era un suono lene, come velato, malinconico, che attirava l’anima, la fissava in un punto, quasi per darle modo d’avvertire quanto fosse grave la tristezza sospesa da per tutto.

Ah, sì — forse pensava la signorina Luisetta — sposare... S’immaginava, forse, che sonava lei, in una casa ignota, remota, quel pianoforte, per addormentar la pena dei tristi ricordi lontani, che le hanno avvelenato per sempre la vita?

Le sarà possibile illudersi? potrà far che non cadano avvizzite, come fiori, all’aria muta, diaccia d’una sconfidenza ormai forse invincibile tutte le grazie ingenue, che di tanto in tanto le sorgono dall’anima?

Noto ch’ella si guasta, volontariamente; si fa talvolta dura, ispida, per non parer tenera e credula. Forse vorrebbe esser gaja, vispa, come più