Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/199

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era compromissione forse, tenerla legata a quella vergogna? Non udiva le risa che tutti facevano di lei e di quel padre? Basta! basta! basta! Non voleva più lo strazio di quelle risa; voleva sciogliersi da quella vergogna, e scapparsene per la via che le s’apriva davanti, non cercata, dove nulla le sarebbe potuto capitare di peggio! Via, via! via!

Si volse a me, tutta accesa e vibrante:

— M’accompagni lei, signor Gubbio! Vado di là a mettermi il cappello, e andiamo, andiamo via subito! —

Corse alla sua stanza. Io mi voltai a guardare la madre. Rimasta come basita davanti alla figliuola che insorgeva alla fine a schiacciarla con una condanna che all’improvviso ella sentiva tanto più meritata, in quanto sapeva che il pensiero della compromissione della figlia non era altro, in fondo, che una scusa messa avanti per impedire al marito di accompagnarla alla Kosmograph; ora, davanti a me, col capo abbandonato, le mani sul seno, si provava con affanno mugolante a sciogliere il pianto dalle viscere sospese e contratte.

Mi fece pena.

A un tratto, prima che la figliuola sopravvenisse, si tolse quelle mani dal seno e le congiunse in preghiera, senza poter parlare, con tutto il volto contratto in attesa del pianto che ancora non riusciva a tirar su. Così, con quelle mani mi disse ciò che con la bocca, certo, non mi avrebbe detto. Poi se le portò al volto e si mosse al sopravvenire della figliuola.

Io indicai a questa, pietosamente, la mamma che s’avviava singhiozzando alla sua stanza.