Pagina:Poemetti allegorico-didattici del secolo XIII, 1941 – BEIC 1894103.djvu/207

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l’intelligenza 201


    Èvi dipinta la cittá d’Amonda, 213
che Cesare assediò per piano e coste;
la bella Rancellina assai gioconda,
Sestusso ed Igneusso iera su’oste;
quella cittá che s’appella Gironda.
Igneusso assalía sovente l’oste,
e Rancellina, che molto l’amava,
quand’e’ n’uscía, la fronte li baciava:
Fortuna avea tutt’este cose poste.

     Un giorno andò Igneusso al padiglione, 214
credendov’entro Cesare trovare;
Cesare, ch’iera giá ’n disperagione,
fece le corde per senno tagliare;
e cosí ’l colse e uccise in tradigione,
com’una starna che non può volare;
mai non fu giovan di tant’arditezza:
Rancellina sí ’l vide, e de l’altezza
del muro si gittò per disperare.

     In Roma ritornò con gran burbanza, 215
e fece prima Igneùs soppellire;
cinque trionfi fece in rimembranza
farsi a’ Roman’, di cui si tenea sire;
Brutto l’uccise con gran sottiglianza,
in pien consiglio, e non poteo fuggire;
il primo colpo li diè d’uno stile;
segnor del mondo, e fue morto sí vile:
Fortuna fu, piú nol volle seguire.

     Dall’altra parte del luogo giocondo, 216
èvi ’ntagliato Alexandro signore;
come si mosse ad acquistar lo mondo,
al tempo del re Dario, a grand’onore;
tutto come cercò del mare il fondo,