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Ond’egli va superbo? Invan Natura
Nulla creò, né della cheta notte
Ad ingemmar soltanto il fosco velo
D’immensa mole fe’ pianeti, e mille
Nel liquido seren lampade accese,
E il corso volle armonizzarne e l’ore.
Luce maggior di verità foriera
Meco sul grave ragionar ti spanda
il fiorentin che a’ non tentati cieli
Coll’ottica sua canna assalto diede,
E nella notte ne spiò gli arcani.
A gara dopo lui cento saliro
D’Urania figli all’ardue torri in vetta,
E d’argolico scudo o di febèa
Lampada in guisa sollevar fur visti
Sferiche moli di cristallo e tubi,
Che avidamente si stendean nell’ombre
Ad indagar colla rifratta luce
Degli attoniti cieli ogni segreto.
Io poi, del vario-refrangibil lume
L’indocile a frenar indole intento,
In concavo metal l’accolsi in pria,
E d’altro specchio il rimandai sul cavo
Minor circolo opposto, onde riflessa
N’andò de’ rai la colorata riga
All’occhio armato di globosa lente,
E men confusa e più vivace apparve