Pagina:Poemi conviviali (1905).djvu/13

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prefazione ix

si uccidono tra loro, i sitibondi, perché non beva nessuno. Oh! bevete un po’ per uno, stolidi, e poi fate di riempire la buona anfora per quelli che verranno!

Per questo, che io dico che la poca gioia che può aver l’uomo è nel poco, io sono, caro Adolfo, sincero. Mi fu dato di provare il pregio del poco, sì per essermi stato da altri rubato tutto, sì per avere io ricuperato, di quel poco, un pocolino. "Il pregio del poco" ho detto... Ma in verità che cosa si può pretender di più poco, che d’essere lasciato, fin che piaccia alla natura, con chi v’ha messo al mondo? Basta: parliamo d’altro. Dunque del poco che mi fu sottratto, ho poi ricuperato un pochino. E ne mostro, come è giusto, un pochino di gioia. Sono dunque sincero, quando parlo della delizia che c’è, a vivere in una casa pulita, sebben povera, ad assidersi avanti una tovaglia di bucato, sebben grossa, a coltivare qualche fiore, a sentir cantare gli uccelli... Ma questa sincerità si chiama, dai malati di storia letteraria, Arcadia. 1 Io sono (* * * * * * * * * * *) un arcade. La mia, oltre


  1. In un mio libro, non troppo fortunato, che s’intitola Miei Pensieri di varia Umanità (Messina, Muglia, 1903), parlo, nel Fanciullino, di questa malattia che non è, a dir vero, di letteratura, come era stampato nella I ed. dei P. C., ma di storia letteraria, come ho corretto in questa II. "(La Poesia)