Pagina:Poemi conviviali (1905).djvu/35

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il cieco di chio 15

tessuta in cielo; iridescenti al sole.
E mi parlò, grave, e mi disse: Infante!
115qual dio nemico a gareggiar ti spinse,
uomo con dea? Chi con gli dei contese,
non s’ode ai piedi il balbettìo dei bimbi,
reduce. Or va, però che mite ho il cuore:
voglio che il male ti germogli un bene.
120Sarai felice di sentir tu solo,
tremando in cuore, nella sacra notte,
parole degne de’ silenzi opachi.
Sarai felice di veder tu solo,
non ciò che il volgo vìola con gli occhi,
125ma delle cose l’ombra lunga, immensa,
nel tuo segreto pallido tramonto.


     Disse, e disparve; e, per tentar che feci
le irrequïete palpebre, più nulla
io vidi delle cose altro che l’ombra,
130pago, finché non m’apparisti al raggio
della tua voce limpida, o fanciulla
di Delo, o palma del canoro Inopo,
sola tu del mio sogno anche più bella,
maggior dell’ombra che di te serpeggia
135nel mio segreto pallido tramonto.
Ora a te sola ridirò le storie
meravigliose, che sentii quel giorno
come vie bianche lontanar tra i pioppi.
E quale il tuo, che non maggior potevi,
140tale il mio dono, né potrei maggiore;
ché il bene in te qui lascerò, come ape
che punge, e il male resterà più grave,
grave sol ora, al tuo cantor, cui diede
la Musa un bene e, Deliàs, un male!