Pagina:Poeti minori del Settecento I.djvu/257

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non di me troppo e non di te contento,
65la fronte abbasso, e sospirando afflitto

del comun nostro vaneggiar mi pento.

Non ch’io grave accusar possa delitto,
che non ai fonti io di Babele attinsi,
né a te i sistri imitar piacque d’ Egitto.
70Non io d’oscene tinte il canto pinsi,

né il modesto pudor, scherzando audace,
a chinar gli occhi o ad arrossir costrinsi;

Né vii vendetta o reo livor procace
a te, mia cetra, di ferir permise
75nome o virtú con satira mordace.

Non, d’empio tosco le mie rime intríse,
contro il ciel motteggiarono, né mai
leggendomi l’incredulo sorrise.

Religioso, alla pietá serbai
80sacri i suoi dritti, ed al suo culto offersi

talor qualch’inno che su te cantai.

E sotto vel di favole i miei versi,
dilettando a giovar, spesso con fiori
o di virtude o di ragion cospersi.
85Ma che? Purtroppo in giovenili errori

tu pur sedotta, le tue corde, ahi! festi,
incauta cetra, risuonar d’amori.

E molli suon temprando or lieti, or mesti,
da desir mossi e da speranze vane,
90lavoro ed anni a delirar perdesti.

L’aria sovente d’armonie profane,
la valle e il bosco empisti, al falso incanto
sagrificando di bellezze umane.

E un vago viso o due begli occhi il vanto,
95ch’era del mondo al Creator dovuto,

ebber delle tue note e del mio canto.

Oh! troppo indegno, a scopo vii tributo;
vani concenti e rei, notte v’abbui,
e d’un vel copra tenebroso e muto.