Pagina:Poeti minori del Settecento I.djvu/258

Da Wikisource.

loo Deh! chi mi dá, che dalle piante, in cui

v’incise incauta man, mano migliore
vi cancelli ed involi al guardo altrui?

Onde né ninfa piú, né alcun pastore,
vagando in quelle selve innamorate,
105pasca in voi gli occhi ed ammollisca il core!
Ah, cetra mia, se le tue corde aurate
dalla natura a melodie pietose
e ad amoroso suon furon temprate,
perché cercar nelle terrene cose
no beltá nate a perir, quai su lo stelo
languidi gigli e vespertine rose?

E non piuttosto al sommo Re del cielo,
bellezza incorruttibile, infinita,
modular inni d’infiammato zelo?
115Che se d’uopo a tal voi t’era d’aita,

mancava per alzarti all’ardue cime
scala o sentier di facile salita?

Quale de’ suoni tuoi, delle mie rime
la terra tutta e il vasto ciel porgea
120soggetto inesauribile e sublime!

Tal dal creato al Creator s’ergea,
sciogliendo sul Giordan lodi e preghiere,
del profeta real la cetra ebrea;

a cui nel lor linguaggio armenti e fiere,
125e i nembi e il tuon fean eco, e gli elementi,
le terre, i mari e le celesti sfere.

So ben, mia cetra, che ai severi accenti
l’orecchio, avvezzo a suon piú molle e ameno,
chiuso avrian forse le svogliate genti.
130Ma che? Frege voi piú, se grata meno,

tu ne saresti; e minor plauso, è vero,
forse io n’avrei, ma non rimorsi almeno.
Ed oh! potessi pur, ma non lo spero,
su te nuovo intonar sacro concento
135a qualche emenda dell’error primiero.