Pagina:Poeti minori del Settecento I.djvu/264

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25Ahi caro porto, amico albergo fido!

dolce ristoro a’ miei terreni affanni ! per te, per te forte sollevo il grido.

Vorre’ aitarte, ed involarle ai danni: ma son qaal chi, sognando alto periglio, 30fuggir non possa, e per fuggir s’affanni.

Invan cerco la forza ed il consiglio; che, guatando il tuo fato che s’affretta, lo spavento mi sta tra ciglio e ciglio. Cara parte di me, sposa diletta! 35tu sei quel lido ond’io palpito e tremo

per cui’l mio labbro amare voci getta.

Egro è il tuo corpo, e di vigor giá scemo, e il morbo che infierisce dispietato, è il flutto che ti tragge al giorno estremo. 40Cercai per te soccorso in ogni lato:

l’arte di Macaon, l’aitar di Giove; preci e voti iterai, tutto ho tentato.

Ma, stanca l’arte alle impotenti prove, ristette e tacque; e il Dio, che tutto vede, 45alle lagrime mie si volse altrove.

In chi dunque trovar pietá, mercede, se per le colpe nostre e della sorte all’istessa Pietade invan si chiede? Come avvivar sulle tue labbra smorte 50quella porpora estinta, e dalle gote

la squallida fugare ombra di morte?

Sposa infelice! Ahi, su qual dura cote passar ti veggio armata di tormenti, pria che il ferro crudel la Parca rote! 55Barbare son le pene che tu senti;

ma non senti però la maggior pena, che i tuoi mesti mi dan languidi accenti.

I primi amori e la nuzial catena, i casti amplessi, e intatta piú de’ gigli 60la fé, che in mille si ritrova appena, </poem>