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III LA VISIONE.


O dell’estinta sposa anima viva,
la cui pietá desia ch’io mi console,
deh, soffri ancor che lacrimando io scriva!
Che divoti i pensieri e le parole
5adoran quel Poter che ci divise;

ed io non giá, solo il mio fral si duole.

Queste luci, che stan guatando fise,
né puon veder la tua celeste imago,
si distemprano in pianto e son conquise.10 Quel disio, che anelando unqua fu pago

per starsi teco, ed or non ti ritrova,
spinge da folle il piede errante e vago.

La man, che ognor sentia dolcezza nova
nello stringerti al sen, benché aria vana
15abbracci sol, di stringer si riprova.

E a’ miei sensi smarriti, or te lontana,
sembran tutte le vie romite e sole,
e vuoto il mondo d’ogni cosa umana.
Ma divoti i pensieri e le parole
20adoran quel Voler cui cosi piace,

ed io non giá, solo il mio fral si duole.

Deh, perché tarda a estinguer la vorace
favilla dal dolor che lo tormenta,
l’augurata da lei tranquilla pace?
25Perché da lunge sol fia che la senta

aggirarglisi intorno, incerta ancora;
e l’adito del cuor trovar non tenta?

Giá rinacque col di la sesta aurora,
da che rividi il volto di colei,
30che pria potea bearmi ed or m’accora.