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274 virgilio malvezzi


XXX

La tirannide e l’amore del pericolo.

Che cosa fa tanto gustosa la tirannide se non l’amare il pericolo? Dov’è grande, non ha che desiderare; dov’è poco, l’accresce; dove non è, lo finge. La tragica scena di costoro è piena di sangue ingiustamente sparso, giá1 di colpevoli, giá di semicolpevoli, giá d’innocenti. Dovrei dire solo d’innocenti, perché la maggior colpa che gastigano i tiranni, merita il nome della maggiore innocenza. Ma quand’anche questi non si sia tanto disumanato da fingersi il timore dove non è, rare volte conserva tanto d’umanitá da lagnarsi che non vi sia... Platone, e con lui Tacito, forse conobbero quello che ho detto; non lo esplicarono. Chiamano infelice il tiranno, non pel timore che ha di fuori, a cui con la morte giá di questo giá di quel cittadino con diletto soddisface, ma per l’interno che, rodendogli insensibilmente le interiora, non gli lascia né trovar riposo né sperar rimedio. Se il dolore di questo non contrapesasse e sopravanzasse ii gusto degli altri, fra gli etnici piú tiranni che principi si annoverebbero. Egli è un carattere che coscienza nomiamo, posto da Dio nella natura dell’uomo a fine che lo temano anche coloro che non lo conoscono, contentandosi anzi di non esser conosciuto che di non esser temuto, perché non si perda il mondo per mancanza di timore e gli uomini non arrivino all’estremo delle scelleraggini (A., 45-8).

XXXI

Crescere, essere cresciuto, calare.

Che un soggetto arrivi ad essere il maggiore nel mondo, nella cittá, nella corte, non è tanto faticoso quanto il mantenervisi, solo. S’aiuta chi cresce, chi è cresciuto s’abbandona, e di

  1. [«Giá... giá... giá»; è il «ya... ya... ya...» spagn.: «ora... ora... ora». Altri esempi ai §§ XII e XL.]