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della ragion di stato - ii 77


de’ sudditi: ma, per la regola giá scritta di ragion di stato, non vuole che si innovi cosa alcuna nella religion cristiana; e non solo con leggi austere proibisce introdursi eresie, o di Lutero o di Calvino o altro; ma né anco vuole, che levato il scisma greco, s’introduca universalmente la fede e riti della fede cattolica romana. Anzi il permettere che s’innovi o che si alteri negli stati la religione, è cosa non solamente perniciosa a’ prencipi che legittimamente governano, ma può mandar in rovina eziandio gl’istessi tiranni. E perciò mi pare, che possiamo ormai conchiudere, che ’l tiranno, benché nel cuor suo non ritenga vestigio alcuno né di religione, né di pietá, anzi sia, come io credo, ateista; dee nondimeno per buon ragion di governo procurare, che nello stato i suoi popoli abbraccino, e ritenghino tutti, il medesimo culto, e la medesima religione.

Capitolo XII

Il buon prencipe per niuna causa deve romper la fede data,
ma sempre attendere alle cose concertate e promesse.

Fu stimata cosa tanto odiosa appo i persiani, e tanto indegna non di un prencipe solamente, ma di ciascun altro uomo ancor privato il mancar di fede, o mentire, che niun peccato appo loro fu piú severamente punito, o men compatito e scusato, della bugia e del mancare delle cose promesse, come scrive Senofonte nel terzo dell’Istituzione di Ciro. E certo con gran ragione, perché panni non trovarsi uomo cosí ignorante, che non conosca e veda, la fede esser il principal stromento con il quale gli imperi si stabiliscono, e si rendono immutabili; che è la base della ragion di stato. Imperciocché per mezzo di quella si stabiliscono le compagnie degli uomini, i commerci da lei sono introdotti, i popoli tra loro in amicizia si congiungono, e finalmente senza quella niuno mai si potrá a gran cose incaminare. Pertanto Isocrate ammaestrando il suo Nicocle, di questo principalmente l’avviso, che procurasse con ogni diligenza che