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XV.


Contenti e nel tempo stesso malinconici. Interrogavano tacitamente la immobile fisionomia del babbo.

E la fisionomia del babbo era lugubre.

Le parole di Don Luigi erano state inefficaci. Il povero uomo pensava alla sua povera donna.

— È sotto terra, mi sussurrò all’orecchio, sotto terra, tre metri sotto terra. Hanno un bel dire, ma adesso infracidisce nella sua cassa, Mi voleva tanto bene, e ce ne volevo tanto a lei!... Scusi, signor pittore... mi lasci piangere.

I due fanciulli mangiavano avidamente, ma mettevano sempre, fra un boccone e l’altro un punto di interrogazione.

La buona Mansueta se li condusse via coll’esca di due mele cotte nella cinigia.

Restammo soli, io, il vedovo e Baccio; soli e in un mestissimo silenzio non interrotto che dal crepito della lampada ad olio.

Ma Beppe si alzò di repente, e, piantatosi fra me e il campanaro, prese un atteggiamento che ci fece paura; un atteggiamento di rivolta e di sfida. Pareva Spartaco in abito di frustagno. E con voce concitata, rauca, affannosa, cominciò:

— Voglio parlare! bisogna che parli! il mio segreto mi bruccia nella strozza! Mi ascolti pazientemente, signorino, e tu, Baccio, stammi a sentire anche tu.

Si asciugò il sudore, tornò a sedere, si nascose la testa nelle mani, e continuò:

— La mia Gina a quindici anni era la più bella ragazza del paese, e la più buona. Tu, Baccio, lo