Il buon angelo mio fu quella cara
che, or è il quart’anno, s’è da noi partita,
tramutando le rose della vita
negli oscuri giacinti della bara.
Di quella donna affettuosa e rara
in noi la ricordanza illanguidita
par talvolta alle genti, e la romita
nostr’alma il riso dei felici impara.
Ma, Dio! Qual riso d’amarezza pieno,
riso che sfiora i freddi labbri appena,
e dentro al cuore in lagrime si muta!
Ond’io gli occhi sollevo, e chiudo al seno
le braccia, e tra me dico: — Or la serena
stagion volga per altri: io l’ho perduta. —
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Volga per altri la stagion serena,
che a me rise negli occhi, or nella mente
sí mi travaglia, che da mesta vena
spuntar sempre i miei carmi ode la gente.
E tuttavia l’afflitta anima sente
anco una gioia; ed è che fatta piena
sia la speranza di veder possente,
come un tempo giá fu, l’itala arena
d’una schiatta animosa, alta e gentile,
che si rammenti degli antichi padri,
stelle fiammanti in procelloso nembo;
e fiorisca una volta il forte aprile
dai fiori eterni; e sentano le madri
con gioia il peso che lor vive in grembo