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iv - sonetti vari | 145 |
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SCORAMENTO
Sí, nel rumor m’agito anch’io. Ma, quando
mi ravvedo di me, con un sospiro
nella mia cameretta i’mi ritiro
i piú mesti pensieri idoleggiando.
Allor l’anima mia, dai sensi in bando,
sui dí che fûr move soletta in giro:
qui un dolce riso e lá un gentil desiro,
qui un amor, lá un dolor va ritrovando.
Ma, in veder come ogni piú caro inganno
fugge col tempo, ed è sí tardo il passo
verso la meta che ha sí lunga via,
fiere lacrime al cor groppo mi fanno,
e lento il capo tra le palme abbasso.
E cosí muor la giovinezza mia.
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UN’EFFIGIE DI VAN DICK
Perché mi guati cosí mesto in viso
dalla muta parete ove ti stai?
Che mi rivela quell’acerbo riso?
O fiammingo pittor, parla, che hai?
Ali! ben so che vuoi dirmi: — Al paradiso
gentil dell’arte non s’arriva mai
senza aver gli occhi consumati, e anciso
ogni bel verde ai di ridenti e gai.
Merta poi tanto la leggiadra amica,
perché debba varcar l'uom, che in lei crede,
questo deserto senza coglier fiore? —
Cosí, ridendo, a me par che tu dica.
I'non cangio però spirto né fede;
ma quel tuo riso mi spaventa il core!
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