240ambo un sorriso; e fu sì casto e pieno
e confidente, che potea di mille
sospettose paure esser compenso.
Ma quando acuta i visceri penètra
la vipera del dubbio, ella consuma 245fieramente la vita, e non è forza
ch’indi la tragga. Nel fervor dei prandi,
nella vicenda de’ convulsi giuochi,
tu crederai di seppellir quel mostro;
ma sorgerá. Nelle sonanti corse, 250tra i tumulti del dì, nella notturna
melodia d’un’angelica canzone,
che di tepido oblio l’anima incanta,
tu crederai di seppellir quel mostro;
ma sorgerá. Né sull’altar di Dio, 255dove si placa ogni tempesta umana,
la prece e il pianto t’usciranno in pace.
— Vieni, Adolfetto mio: dolce è la sera;
vieni a San Marco. Vi vedrai di molti
vispi fanciulli. Tu sta’ ritto e bello. 260Fa’ loro invidia. — Vezzeggiando al padre,
batté palma con palma il fanciulletto
tutto contento, ed abbellir si fece.
Nero il turbante, come neve il collo,
ceruli i guardi, cerula la veste, 265biondi i capelli, inanellati e lieve
per l’omero scorrenti, era Adolfetto
un angelico incanto. E parea nato
quel soave fanciullo a render miti
con la tanta bellezza anche le fiere. 270Sei pur vaga, o Venezia, e lungamente
memorabile e cara alle pietose
fantasie del mio cor! Chi porta gli occhi
la prima volta sull’eterne torri
del tuo San Marco e non sospira, è degno