145Tal m’apparí lo splendido
mio mondo. E il pan che fransi,
pan tossicato al lievito,
gittai per terra e piansi;
e imprecai quasi al nume 150che mi vestía di piume,
onde agitarle in étere
livido e reo cosí.
Poi mi riscossi. E, l’anima
fatta matura e il piede, 155ebbi dal duol piú libere
note, piú forte fede,
e camminai. Le spalle
portâr la croce al calle,
e il cireneo del Golgota 160per me non apparí.
Meglio. Chi pensa e spasima
e non consente al duolo,
per nude pietre e triboli
dee camminar da solo. 165E camminai. Sul viso
de’ manigoldi ho riso,
e di piú bei fantasimi
il cor mi scintillò.
Addio, febei mirmídoni, 170macre spennate piche;
addio, volanti retori
per forza di vesciche;
látrami contro, o grulla
prosopopea del nulla; 175fuor di tua riga i cantici
Erato mia pensò.