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292 viii - da «storia e fantasia»



     145Tal m’apparí lo splendido
mio mondo. E il pan che fransi,
pan tossicato al lievito,
gittai per terra e piansi;
e imprecai quasi al nume
150che mi vestía di piume,
onde agitarle in étere
livido e reo cosí.


     Poi mi riscossi. E, l’anima
fatta matura e il piede,
155ebbi dal duol piú libere
note, piú forte fede,
e camminai. Le spalle
portâr la croce al calle,
e il cireneo del Golgota
160per me non apparí.


     Meglio. Chi pensa e spasima
e non consente al duolo,
per nude pietre e triboli
dee camminar da solo.
165E camminai. Sul viso
de’ manigoldi ho riso,
e di piú bei fantasimi
il cor mi scintillò.


     Addio, febei mirmídoni,
170macre spennate piche;
addio, volanti retori
per forza di vesciche;
látrami contro, o grulla
prosopopea del nulla;
175fuor di tua riga i cantici
Erato mia pensò.